Poco più di una manciata di persone sedute intorno un tavolino in una cucina, sguardi persi nel vuoto, mani sopra mani, boati di silenzio.
Più in là due anziane signore, che dopo aver preparato una frugale cena: minestra calda, formaggio e pane, il necessario per stare su con il fisico, per reggere la notte, per non crollare, perché non brontoli la pancia, almeno per la fame, si adoperano per sgombrare la tavola e sistemare i piatti.
Un opera lentissima, composta, silenziosissima. Quelle mani rugose e grigie operano con tanta calma e dolcezza, per non disturbare il dolore di chi non può fare altro che star seduto, piangere e soffiarsi il naso.
Quelle vecchie reagiscono al dolore diversamente dai più giovani. Si legano il grembio dietro la schiena e fanno le faccende. Fanno le spalle grosse, ci mettono sopra dolore e responsabilità.
Tutto quello che possono fare è ricominciare.
Più stanche, più tristi.
Così hanno dovuto fare sin da ragazzine. Ché fuori piovevano bombe, e di giovani ne hanno visti non tornare e morire chissà quanti.
Dovevano tenere botta nel presente per dimenticare il passato e non pensare al futuro, che poteva anche non esserci.
Sono le ultime testimoni della guerra che ha passeggiato nella nostra terra cinquanta anni fa, e che si è lasciata dietro paesi schiantati dalle bombe e dal lutto.
Più che testimoni davvero artefici di una ricostruzione, la parte sana di essa. .
Hanno avuto poco tempo per piangere, perché piangere era un lusso che potevi concederti solo nei momenti di riposo. La notte prima di dormire, la domenica a messa, piegata in due sulla panca.
Il resto era lavoro in casa e fuori. Poco tempo per pensare, anche se la pancia si gonfia, e la vita davvero ricomincia.
Tutto quello che potevano fare era ricominciare.
Si capisce allora perché sono le prime a rialzarsi, in momenti in cui il dolore e il destino sono incomprensibili. Per un attimo si riesce anche ad entrare dentro il significato che sta dietro ad uno straccio guidato da una mano grigia. Una traettoria circolare, decisa e lentissima, ripetuta cento volte nello stesso punto. Pulizia nel pulito. Non è la superficie liscia e marmorea l’oggetto di quel gesto. E’ la mente pregna di volti e ricordi, recenti e passati, che avrebbe bisogno di un colpo di straccio. Perché troppo dolorosi, troppo vivi e sanguinanti, macchie che riaffiorano subito, indelebili, nonostante quel moto circolare della mano e della mente.
E quando tutto è stato fatto, quelle ragazze cresciute, rese orgogliose dal tempo e dalle responsabilità, si ritirano.
La sagoma piccola e spigolosa si lega il fazzoletto in testa. Una giovane donna si offre per accompagnarla. Vado da sola, dice la sagoma. Cinque minuti a piedi separano la casa dalla chiesetta.
L’altra donna dagli occhi grandi, si accomoda sullo sgabello, nascondendosi nell’angolo tra la porta e il muro.
Senza farsi vedere, si lasciano andare.
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