francesca ferrari

Non lo so.
Mi capita sempre più spesso di non sapere.
E non so nemmeno perché mi capita di non sapere.
Eppure, al mattino, quando apro un occhio e vedo la freccia di luce che mira l’angolo destro del comò, per un istante, mi sembra di sapere ancora tante cose, ma quando apro anche l’altro occhio, ecco che tutto il sapere si annebbia, e via-via che passan le ore, sparisce del tutto, e chissà dove va a finire.
E pensare che una volta sapevo tutto e di più. Avevo le risposte che mi uscivano da sole, anzi a volte anticipavano perfino le domande, tanto che faticavo a tenerle buone al loro posto. Erano prepotenti e sicure di se stesse, presuntuose come tutti i ragazzi. Solo adesso mi rendo conto che erano solo delle ombre cinesi. Delle risposte fasulle.
Guarda, detto tra noi, il non sapere non sarebbe nemmeno una tragedia, ché se non sai, vivi molto meglio, secondo me.
Te ne stai in quel limbo che ti permette di vedere tutto confuso. Un po’ come quando non hai le lenti a contatto: non vedi la polvere, non vedi i difetti, le ragnatele, le formiche nel pane, un’ombra sbagliata…riesci ad evitare senza fatica tutto quello che ti dà fastidio.
Devi solo stare attento a non inciampare nei dubbi che lasci in giro per la casa. Basta un po’ d’esercizio, però, con un bel passo lungo scavalchi, ed il problema è risolto.
Vivrei serena. Miope, ma serena.
Il problema è che tutti mi fanno domande. In continuazione. E stanno lì ad aspettar risposte che non ho. E guardo in tasca, nel cassetto, nel carrello dei colori…eppure sono sicura di averle avute, un tempo, me le ricordo, erano belle, tranquillizzanti, e soprattutto serene.
Chissà dove le ho perse.
E mentre cerco di ricordare, continuano a farmi domande. E come non bastasse, inizio anch’io a crear dei perché, complicati come origami di terzo tipo.
Posso far finta di non sentire, d’altra parte se le orecchie son due ci sarà pure un motivo, mi dico io, da una parte la domanda entra e dall’altra esce, no?
E in questo modo, con un continuo via-vai, il più delle volte riesco a farla franca, ma con i perché subdoli, i miei, non ci sono vie di scampo.
In genere entrano con gli altri dall’orecchio destro, magari mimetizzati da piccoli perché di campagna, sempliciotti, nel loro gilet a quadretti; tu li fai entrare senza sospettar niente, e zac, ti si sistemano con armi e bagagli dentro la testa.
E non c’è verso di farli uscire con i compagni, dall’altra parte. Anzi, metton su famiglia e non fai in tempo a finir una velatura che son già diventati nonni.
E mi ritrovo, in men che non si dica, con tre generazioni di domande mescolate ai pensieri.
E io non so più rispondere nemmeno a quelle piccine.
Allora a cosa servo, mi domando…
A volte penso che il sapere non si conquisti, ma, al contrario, si consumi con gli anni.
Si nasce equipaggiati con un kit completo di risposte, da usare con parsimonia, e chi riesce a far economia e ad utilizzarle bene, se le ritrova fino all’ultimo giorno.
Ecco, io devo averle consumate tutte, ché qui mi son rimaste soltanto le carte e le istruzioni.
E un kit molto grande di nonloso che mi devono aver affibbiato di nascosto.

Mah.