il fumo e il volto, dietro
Il fumo nasconde il volto, quasi. Si alza dalla sigaretta in ampi e tortuosi giri, sale e lo circonda, vela i suoi occhi e ne smorza la luce. Probabilmente si infila nei polmoni, scende e lo intossica, impregna i suoi vestiti. E' sinuoso, sottile e pieno insieme, pastoso come una melma soffice.
– Cosa ha fatto, prima?
– Prima quando?
Fa un gesto vago con il braccio, gira la mano e la appoggia di nuovo alla scrivania.
– Prima, e basta. Prima, capisce?
No, non ha capito. Ma finge, come ha deciso di fare. Stringe le labbra e piega in giù le sopracciglia, come se stesse penando.
– La segretaria da un notaio, e la baby sitter.
– E prima ancora?
– Studiavo. Parlo francese e…
– Va bene, non ho chiesto quali lingue sappia parlare. C'è nel curriculum.
Il fumo confonde. Non si aspettava di trovarlo seduto nello studio, la sigaretta accesa, pronto a parlarle di persona. Credeva che avrebbe incontrato un altro, un fantoccio dei suoi, incaricato di selezionare il personale. E' entrata sistemandosi per l'ennesima volta il vestito addosso, ha dato un'occhiata alla scollatura delle altre che si aggiravano nelle stanze dell'azienda e ha deciso di aprire un bottone in più sul petto. Quando la donna bionda le ha detto "Prego" si è fatta avanti cercando di non fare troppo rumore con i tacchi sul pavimento. Ha indossato le scare migliori, quelle con il tacco a spillo e la vernice rossa sotto le suole: sono costate un capitale, le usa solo quando tenta di credere in se stessa per fare colpo su qualcuno.
E' andata avanti, insomma, e ha visto lui, proprio lui, seduto in fondo alla stanza grande, con poca luca e molto fumo.
– Venga, si accomodi.
Non ha avuto bisogno di studiare la voce: la conosce, come tutti. Sa chi sia, ha sempre pensato che fosse un uomo sexy e crudele. Non sa perché pensi così, ma lo considera crudele, il tipo di uomo capace di spezzare cuori senza badare troppo ai ripensamenti.
– Perché vuole lavorare qui?
Ha buttato lì la domanda senza darle il tempo di sedersi.
– Io…
L'ha fissato, o almeno ha cercato di farlo. Ha appoggiato la schiena allo schienale morbido, immaginato più che vedere la camicetta che si apriva sul seno senza che la degnasse di uno sguardo, e accavallato le gambe. Si è chiesta se le calze fossero a posto: non ha avuto il tempo di controllare, è stata spinta da lui e nemmeno si è resa conto.
– Lei cosa?
Implacabile. Vede i suoi occhi dietro la cortina di fumo che si avvita tra loro, sente addosso l'odore e immagina il suo alito. Deve essere carico di nicotina e catrame, un alito bello da baciare: ama baciare chi fuma, sentire in gola il sapore pesante della saliva intrisa di vizio vecchio che non si può sanare.
– Cerco lavoro, un'amica mi ha consigliato di fare domanda da voi.
– Quale amica?
Non le concede il respiro, il dubbio di un tempo lasciato a metà. Incalza e chiede, e la fissa. Senza spostare gli occhi. Sembra che non abbia notato le gambe belle, magre e toniche, il seno sodo tenuto su da un reggiseno terza misura troppo stretto, che lo strizza fuori come se volesse saltare in mano, il trucco perfetto perché fatto da Cristina, l'amica estetista per le emergenze. Niente, non nota niente. E' seduto, fermo, e fuma. E chiede.
– Laura Contini.
– Ah. Me la ricordo.
Non capisce se sia vero, ma sembra di sì. Non assomiglia a un uomo che inventi tanto per fare. Annuisce due volte.
– Aiutava Ilaria, della contabilità.
– Sì, proprio lei.
– Chissà perché è andata via.
– Non ne ho idea.
Ce l'ha, l'idea, ma non può dirla. Sergio, il capo di qualche ufficio che non ricorda, le metteva addosso le mani e la minacciava: diceva che l'avrebbe messa nei guai se non l'avesse fatto contento la sera, oltre l'orario, quando tutti erano usciti. Laura per un po' aveva accettato di fargli compagnia, rimettendosi in fretta il vestito per correre da Arturo, il suo fidanzato, però il bisogno del lavoro non l'aveva motivata abbastanza. Era scappata senza dare il preavviso il giorno dopo uno degli incontri serali con Sergio, nascondendo i lividi e evitando di spiegare i motivi.
– Allora, vuole venire da noi.
– Sì.
La scruta senza espressione. Se anche ci fosse, l'espressione, non potrebbe notarla dietro tutto il fumo che intasa le pupille e i pensieri. Chissà se fuma sempre così, se accende una sigaretta dietro l'altra. Dicono che lo faccia, e che non si sogni di smettere. Ne ha conosciuti, così. Fumano e fumano, poi al primo spavento diventano bianchi e raccontano del medico con la faccia preoccupata e del falso allarme, quello che per poco li ha fatti morire di paura. Stanno senza sigarette per qualche settimana, pochi mesi, poi iniziano di nuovo. Fino allo spavento successivo. Ma questo qui, lui no, forse non si è mai spaventato: è difficile immaginare che provi paura, o amore, o meraviglia. Sa tutto della vita, quel tutto che gli basta.
– Le piaceva fare la baby sitter?
Dice di sì, non racconta. Non c'è motivo. Stava dietro ai bambini di un'amica, prendeva qualche mancia e guardava la televisione quando i bambini dormivano. Doveva arrotondare, guadagnare qualcosa per l'affitto della camera in condivisione nel palazzo popolare in periferia.
– Bene. Chi fa la baby sitter di solito è paziente.
Non è una domanda. La stanza buia rimanda le parole in una specie di eco silenzioso che le rimbalza in testa. Le sembra strano, il colloquio con il presidente per un posto da segretaria amministrativa: l'ultima delle segretarie, quella che probabilmente dovrà fermarsi la sera con Sergio per farsi toccare e giocare di labbra, rivestendosi in fretta quando tutto è finito.
– Quando saprò se mi assume?
La domanda le scappa dalla bocca. Non trova un senso nei minuti che passano. Le gambe iniziano a tremare per l'impazienza, un sudore lieve scende dietro il collo, i capelli forse perdono la piega.
L'uomo sorride.
– Finalmente, adesso sembra viva.
– Perché?
– Perché ha preso l'iniziativa e chiesto qualcosa, temevo fosse morta o in stato di coma.
La voce graffia. La luce degli occhi buca il fumo e la raggiunge.
– Vorrei sapere se dovrò aspettare tanto.
– Ha altri colloqui?
– Veramente no, ma.
– Ma deve pagare l'affitto.
– Come fa a saperlo?
– Non lo so, ma dite tutte la stessa cosa. Affitto, scuole serali, figli. Ha figli?
– No.
"Non ne voglio", non lo aggiunge. Non sono affari suoi.
– Meno male. I figli fanno perdere tempo, se vuole il mio parere.
Non capisce, forse la sta provocando. Sorride storto, tira su solo una parte della bocca in un ghigno per niente simpatico.
– Comunque le rispondo subito. Sì, la prendo. Proviamo.
– Perché?
– Come, perché?
– Non mi ha chiesto niente.
– E non è contenta? Meglio così, non rischia di sbagliare. Se faccio troppe domande prima o poi cade, come tutti. Invece se il colloquio è muto il rischio dell'errore non esiste.
Appoggia le mani alle ginocchia, improvvisamente si sente nuda. I suoi occhi si sono mossi, hanno abbandonato il volto e sono scesi, hanno percorso il suo corpo lentamente, ostinati e palesi.
– Bene, adesso vada. Si metta d'accordo con Silvia, là fuori. Ci vediamo.
Le tende la mano, lei si alza e gliela stringe. E' calda, morbida. Le piace. Fa qualche passo indietro, si volta e cerca la maniglia.
– Signorina.
Gira solo la testa.
– Sì?
– I suoi genitori?
Una fitta allo stomaco. La voce non trema, ma dovrebbe.
– Ho solo mia madre. Ha cinquantadue anni, è insegnante elementare.
– E il papà?
– Non l'ho mai avuto.
– Capisco. Sono cose che capitano. Bene, buonasera.
Sono cose che capitano. Decide di dimenticare la frase mentre abbassa la maniglia e spinge la porta pesante di legno ricco. Esce e osserva Silvia, che ha risposto a una chiamata appena l'ha vista comparire, ha chiuso subito e adesso le fa segno di avvicinarsi.
– Ci vediamo lunedì.
Le spiega molte cose in fretta, chiara e distante. La ascolta.
– Sono sempre così, i colloqui?
Silvia la guarda, una smorfia di sopresa sul viso stanco.
– Cioé?
– No, niente. Non ci sono abituata.
– Con lui molte cose sono fuori dall'abitudine, mi creda.
La saluta con la mano e un sorriso, cerca il corridoio. Cammina.
Ritornerà lunedì. Avrà una scrivania e un cestino dove buttare la carta straccia, e uno stipendio. Avrò le mani di Sergio e il fumo da attraversare quando sarà costretta a parlare con lui, con il presidente che vive immobile in una stanza buia.
Ma ha un lavoro. Grazie a lui, all'uomo nascosto dietro il fumo, con la luce negli occhi che si vede solo a tratti. Ricordava quella faccia, l'ha vista tante volte sulle fotografie nel cassetto che sua madre tiene chiuso a chiave.
La faccia dietro il fumo.
Suo padre.
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