Non ho ritratti di mia mamma. A lei non piaceva farsi ritrarre, non amava nemmeno le fotografie.
Una vita difficile la sua, una continua lotta, se pensi che mio papà viveva con la matita in una mano e la Nikon nell’altra.
Questo è l’unico quadro che le ho fatto, una fatica che non ti dico, e non l’ho nemmeno qui con me.
Quando ho vuotato la sua casa, ero così arrabbiata col padreterno e con lei, per esser andata via in quel modo, che l’ho preso, quel quadro, e l’ho portato alla sua amica. A volte non ci si rende conto delle stupidità che si commettono. Oppure sì, ma ci si autopunisce per qualcosa, forse.
Mi è rimasto questo schizzo, a inchiostro e acquerello, credevo di averlo perso nel trasloco, e invece mi è saltato fuori, come per dispetto. Oggi che piove.
Qui la mia mamma è in campagna, a Panocchia. Sta facendo le parole crociate. Ai piedi le sonnecchia un vecchissimo Bred, pronto a scattare ad ogni accenno di movimento. Un ormai barcollante tentativo di scatto, a dir la verità.
Strano vederla seduta, ferma, ché ferma non ci stava mai, forse lì sta aspettando che l’acqua bolla, per buttar gli spaghetti, o che la torta mostri una bella crosta dorata, pronta per esser spolverata di zuccheroavelo.
Era abituata ad aspettare… me, mio fratello, mio papà, sempre tutti in ritardo, tutti con orari differenti, tutti a dar per scontata la sua disponibilità. E lei era lì. Sapevi che c’era. Non ti passava nemmeno per la testa che avesse in mente un qualcos’altro da fare. Qualcosa che non riguardasse noi.
Io non sono brava come lei, da uno a dieci, sono zero di bravura, non ho imparato niente. Mi arrabbio se devo aspettare. Vivo sempre con la speranza che i miei ragazzi trovino qualcosa da mangiar fuori. Quando mi telefonano per avvisarmi che non potranno pranzare a casa, rispondo, sì, con un peccato avevo lavorato tanto per cucinare! ma nello stesso momento faccio salti di gioia e richiudo quel frigorifero che avevo appena aperto. Sono poco disponibile, e se sto dipingendo non esiste niente e nessuno, solo tela e colori.
Per lei, invece, eravamo noi il centro della sua giornata. Tutto ruotava attorno a noi. Dal risveglio del primo mattino, all’ultimo saluto, alla sera. Vorrei esser anch’io così per la mia famiglia. Ci riesco per due ore. Anche due ore e mezza, se lavoro ad olio, ché si sa, l’olio asciuga più lentamente.
Forse le mamme di una volta eran fatte con materiale di prima categoria, o magari ci sono anche adesso delle mamme così, da qualche parte. Non qui in casa mia, però. Io devo esser di seconda scelta. Presente le maglie fallate del banco in Ghiaia? Ecco devono avermi trovata lì, non in una boutique di mamme firmate, ma tra una camicia senza bottoni ed un golf macchiato di nero.
Però son stata una brava figlia, sai? Non sempre. Anzi, ero una figlia di scarto, prima. A mia mamma piaceva chiacchierare con me, ma a me assolutamente no. A dir la verità, a me non piaceva chiacchierare con nessuno. Eppure lo sapevo che sentir raccontare la mia giornata, i miei pensieri, per lei era una gioia grande. Ma io niente. Me ne stavo in camera. O dopo, da sposata, se mi telefonava, per venire a casa mia, spesso trovavo una scusa, oggi non posso, mamma, vieni domani.
Ci voleva un grande dolore per farmi diventar un po’ più brava. Quando mio papà si stancò di vivere e decise di dire basta a vecchiaia e tristezze, lei restò per la prima volta, dopo tutta una vita, sola. Sola due volte, perché mio padre, ti assicuro, la vita la riempiva tutta. Ti sfiniva addirittura.
Ma lei era forte, non voleva far vedere che la casa le stava di una misura troppo larga, che le giornate erano diventate improvvisamente molto lunghe e la sera non arrivava mai, e che dentro aveva un vuoto talmente grande. sto bene, non dovete preoccuparvi per me, avete le vostre vite, state tranquilli.
E io, da figlia di seconda scelta, riuscivo a convincermi che era davvero così. Che andava tutto bene, e potevo tranquillamente pensare a me stessa. Era la vita, no?
Sai quando sono diventata brava, ma brava come nemmeno una figlia fatta su misura può essere? Ho iniziato quella volta che, pur essendo d’accordo di trovarci per andare a fare un giro in centro, non arrivava, stranissimo, ché era sempre in anticipo, lei.
E allora sono uscita per andarle incontro. E l’ho trovata seduta in una panchina del viale, a due passi da casa mia.
Cosa fai qui, perché non mi hai suonato?
Non ce la facevo più, sono troppo stanca.
Ecco, in quel momento mi sono trasformata in figlia da primo premio. Una trasformazione in Superfiglia. Senza aver bisogno di una cabina telefonica.
Non avevo mai usato un computer, ed ho imparato in quattroequattrotto a far scansioni di analisi mediche per trasformar un marker 4000 in un perfetto 7.5. e fino a quel momento nessuno aveva avuto mai transaminasi più belle delle sue, per non parlar delle visite mediche! E le ho regalato otto mesi di progetti, faremo vedremo e vivremo. Di programmi, vorrei tornar in egitto a veder le piramidi…certo, mamma..magari vengo anch’io
Era una donna intelligente, la mia mamma, e sapeva di tutto e leggeva di tutto e mi faceva dannare perché prenotava visite mediche di nascosto non son più io…sarà il cuore? E io allora correvo, il giorno prima dell’appuntamento, dal cardiologo e gli spiegavo non c’è più niente da fare, le metastasi son dappertutto, perché dirglielo? Voglio che abbia un futuro davanti, deve sognare ancora, deve pensare di avere una vita, di centanni ancora, da viver con noi. Senza ombre di morte sugli occhi. Voglio che alla sera si addormenti con un domani davanti.
E i medici mi hanno aiutato, sai, hanno capito che avevo ragione io, che sarebbe stata una verità inutile.
E così, con la tranquilla convinzione di avere un piccolo soffio al cuore che la debilitava, ma un disturbo da niente, in fondo con quel che passato, signora, è comprensibile , no?ha continuato a vivere morendo ogni giorno un pochino, ma senza saperlo.
In fondo è quel che succede, naturalmente, a tutti noi, ma non ci si pensa mai al fatto che si vive morendo. Perché mai avrebbe dovuto pensarci lei.
Ho solo un dubbio, a volte, me lo ha messo l’Anna, la signora che le dormiva accanto quell’ultima notte, e non vi dico che fatica per convincerla ad accettare una presenza che secondo lei era del tutto inutile, sono solo debole per quel che ho passato, figurati se non posso dormir da sola! ecco l’Anna mi ha raccontato che verso le tre del mattino, la mia mamma si è messa a sedere a fatica sulla sponda del letto, con le gambe giù, e scuotendo la testa le ha detto con un fil di voce sa una cosa, Anna, mi dispiace un mondo per la mia ragazza, ché si è data da fare così tanto per niente…
E poi si è rimessa giù, come per dormire.
Ecco, a volte mi viene un dubbio, ma lo scaccio subito, altrimenti dovrei restituire il premio, quello da figlia di primascelta.
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